Un viaggio inizia sempre prima del suo inizio. E anche per questo è stato così. Preparativi, accordi telefonici, recupero del materiale necessario, preparazione atletica e mentale… e alla fine il gran giorno arriva. Questa volta, memore dell’anno scorso, ho evitato accuratamente di preparare conserve e marmellate la sera precedente, in modo da arrivare un po’ meno stravolta del solito alla partenza. In fondo un 4000 ha le sue difficoltà ed è un indubbio stress per il nostro organismo, che se arriva più riposato ha tutto da guadagnarci.
La mattina del 3 agosto alle 8 ci troviamo sotto casa mia. Io è da poco prima delle 7 che sono in piedi e sono contenta perché ho dormito bene, senza troppi pensieri e preoccupazioni. Mi sento riposata anche se non del tutto serena…nubi nere si avvicendano nella mia mente e mi accompagneranno per tutto il cammino. Alla spicciolata arrivano Roberto (accompagnato da Mavi che con i suoi tacchi alti fa intendere che non sarà dei nostri), Danilo con Matteo, new entry del gruppo, i due Marcello, uno sempre il solito e l’altro tutto nuovo per il nostro gruppo, e poi il mitico Livio: la sua presenza tra noi per me è un onore oltreché un grande piacere, lo conosco da una vita e sono veramente contenta che sia dei nostri. Arriva anche monsieur la guide Silvio, con il suo barbone e il suo sorriso rassicurante. All’appello mancano solo Carla e Ombretta che ci aspettano a Gressoney: da qualche giorno sono in quota per permettere a Carla (la nostra olandese volante) di acclimatarsi, che è l’unica cosa di cui ha veramente bisogno perché per il resto quella va che brucia!
Saliamo sul pullmino di Silvio e partiamo per la Valle d’Aosta. Il clima in auto è allegro e sento le chiacchiere degli amici che fanno conoscenza. E’ incredibile come sempre in queste occasioni si crei una bell’alchimia di animi e spiriti diversi che uniscono le loro forze per affrontare insieme una fatica comune.
Arriviamo a Gressoney verso le 11 e troviamo ad attenderci Ombretta e Carla con il loro bel sorriso caldo e luminoso. Abbracci e baci tra chi è un anno o anche più, che non si vede: mi commuove vedere come Carla, che abita in Olanda, sia diventata parte di questo gruppo eterogeneo che ogni anno si ritrova per scalare una punta in ricordo di mia figlia.
OK si parte! Ci prepariamo, ci cambiamo, sistemiamo gli zaini e io riesco subito a farmi uno dei miei numeri: do a Carla e Ombretta mezza pastiglia di diuretico che io ho già preso a colazione e che Livio, il nostro medico ufficiale, ci ha consigliato per aiutare la respirazione che in quota è inevitabilmente difficoltosa. Tutto bene sennonché Ombretta si accorge di avere appena preso mezza pastiglia di Moment!! A vedere la faccia di Ombretta scoppio a ridere e non riesco più a fermarmi… avevo messo due pastiglie nella scatola del diuretico, per il mal di testa che ogni tanto mi prende e che può rovinarmi la giornata e me ne ero dimenticata… Come inizio non c’è male!
Saliamo sui fuoristrada che ci porteranno a prendere l’ultimo pezzo di funivia per arrivare al Mantova: i primi due tronconi sono in rifacimento e ci troviamo così a fare un bel dislivello tra scossoni e salti, aggrappati ai sedili, sballonzolati per benino. Il tempo non è buono e quando scendiamo c’è una fine nebbiolina e abbastanza freddo. Sono l’unica ad avere i pantaloncini corti che poserò all’arrivo della funivia perché fa veramente fresco. Mentre aspettiamo che arrivino Silvio e Marcello 1, che sono su un’altra jeep, mi guardo intorno e vedo un gruppo di piccoli stambecchi o camosci davvero teneri. Sono un po’ stranita, il mio animo è come ovattato, sento una certa distanza con ciò che mi circonda… forse è la preoccupazione per la salita del giorno dopo, troppo simile a quella del Bianco, che mi ha creato problemi per la quota tanto da dover rinunciare. Vero che questa volta sto prendendo il diuretico… e subito penso al Moment di Ombretta e Carla e scoppio a ridere da sola. Chi mi vede penserà che sono un po’ matta…
Dopo la funivia ci prepariamo per il piccolo tratto che ci separa dal rifugio Mantova, che raggiungeremo in un’ora. Silvio ci fa imbragare anche se poi non sarà necessario legarci perché il passaggio assistito con corde non è difficile. Penso a Marcello 2, con il suo braccio solo e ammiro il suo coraggio che lo porta a sfidare situazioni difficili che molti non affronterebbero.
Salgo e arranco, mi manca il fiato e la cosa mi preoccupa non poco… se faccio così adesso cosa farò domani con 1000 metri di dislivello fino a 4580 metri?
Effettivamente lo spauracchio dell’anno scorso rischia di rovinarmi la salita e l’esperienza. Ci penso molto e mi confronto con gli altri. Sono in maggior misura preoccupata quando arrivati al rifugio arranco su per le scale del dormitorio e mi ritrovo col fiatone! Ma com’è possibile? Solo per un po’ di scale? Ma allora domani non ce la posso proprio fare! Mi rassicuro un po’ e decisamente mi tranquillizzo quando scopro che è così per tutti. Tutti tranne Silvio il nostro stambecco umano che sale e scende per pendii come se niente fosse.
Il rifugio Mantova a 3500 metri è davvero bello: paragonato al Gouter è un hotel a 5 stelle! Il salone è ampio, c’è una bella cucina, tutto è in legno e pietra e ci sono i pannelli solari per la luce. Inoltre, cosa che non guasta, i servizi sono interni e con l’acqua! Un vero lusso! I gestori sono veramente simpatici e disponibili e con Ombretta diciamo che lavoreremmo volentieri un’estate in un posto così.
Arriviamo tutti con molta fame, d’altronde sono le 14 e fischia. Io ho bisogno di mangiare perché se no svengo e capisco che la fatica che ho sentito nel salire era mancanza di carburante. Dopopranzo scendiamo nel seminterrato dove facciamo un rendez-vous con Silvio per il giorno dopo: decidiamo le cordate, vediamo le corde, i nodi, controlliamo i ramponi… Silvio istruisce tutti. Su una cosa punta molto: la corda tra noi deve rimanere sempre tesa per motivi di sicurezza. Io non ce la faccio più: ho un sonno che mi coricherei sulla panca! Quando finalmente mi corico nel mio letto, nella bella camerata al piano superiore, mi appisolo immediatamente. Dormo una bella ora anche se quando mi sveglio ho l’impressione di non aver dormito. Chissà perché in quota dormi sempre così male? Con quel senso di allerta che non ti fa mai staccare la spina del tutto? Comunque un po’ mi sono riposata. Mi guardo intorno e vedo qualcuno del nostro gruppo che dorme o che almeno ci prova. Altri sono sotto. Nel frattempo è uscito un po’ di sole che sta già andando via. Tutto il pomeriggio il tempo balla parecchio: grandine, pioggia, nuvole, sole… Appena il tempo di scendere e uscire e si rimette a grandinare. Tento di telefonare a Enzo ma non ci riesco, il mio cellulare non prende.
Tra una foto e qualche parola arriva l’ora di cena. In questo spazio mi sento sospesa temporalmente, distaccata dal mondo e lontana da tutto. Eppure ci sono problemi e preoccupazioni che mi tengono ancorata alla mia realtà e non mi permettono di godermi appieno l’esperienza: sono lì eppure poco presente.
La cena scorre gradevole, tra chiacchiere e cibo sufficientemente buono data anche l’altezza del rifugio che richiede approvvigionamenti via elicottero. Sul nostro tavolo ci sono due bottiglie di vino (una portata da Danilo e una offerta da Livio), due torte (una della mitica Vilma e l’altra di Robi) e abbiamo anche il liquore portato da Marcello 2: un limoncello che si è poi rivelato essere un Genepì, e dal quale mi sono tenuta alla larga visto l’effetto che mi fa anche solo respirare l’alcol!
Dopocena il gruppo si scioglie: qualcuno si ferma al tavolo a chiacchierare ancora un po’ e altri si preparano per la notte. Io decido che sono stanca. Sono le 21 e vado a letto. So già che non dormirò ma almeno starò coricata e con gli occhi chiusi a riposarmi. Dopo le mie abluzioni mi corico volentieri: il respiro è un po’ affannato, soprattutto dopo aver fatto le scale, ma sono tranquilla. Livio mi ha ancora dato un’aspirina e ho preso l’altra dose di diuretico. La camerata è ampia e ci sono ancora letti liberi. Dalle finestrelle arriva ancora la luce di fine giornata con il rosa-fucsia del tramonto: il tempo promette bene! La sveglia è fissata per le 4, un’ora decisamente più civile delle 2 del Monte Bianco. La mia notte passa stranamente bene: dormo a sufficienza, svegliandomi ogni tanto (come sempre capita in rifugio per i rumori della camerata), ma riuscendo anche a sognare!
Ci alziamo alle 4.15 e ci prepariamo in silenzio per l’ascensione. Colazione, zaini da alleggerire, indumenti adatti, imbraghi, ramponi… prima che siamo tutti pronti e legati in due cordate sono le 5.40. E partiamo.
Il tempo è bello, ci sono le prime luci dell’alba e metto via la pila frontale. Fa fresco ma non freddo. Io sono nella prima cordata dopo Silvio e Carla. Dietro di me Danilo, Marcello 2 e Ombretta che chiude. L’altra cordata è guidata dal giovane ed esperto Matteo, con Marcello 1, Roberto e Livio in chiusura.
Iniziamo a salire e sono decisamente molto concentrata su me stessa, sulla mia respirazione e sui segnali che il mio organismo mi sta mandando. Penso che mi piacerebbe avere un registratore per poter registrare tutti i mille pensieri che transitano nella mia testa. I primi passi sono di rodaggio: camminare in cordata non è facile, bisogna prendere il ritmo ed essere rispettosi della persona che ti precede e che ti segue. La corda deve essere tesa ma non troppo tirata… insomma bisogna adattarsi e a volte è un po’ faticoso. Sento il rumore dei ramponi sul ghiaccio, vedo le luci del giorno che aumentano, percepisco il freddo del vento che inizia a tirare forte e mi butta il passamontagna di pile sugli occhi. I capelli, inizialmente legati, mi si sono sciolti ma non ho la forza di legarli mentre cammino e non voglio far fermare tutti per questo. Anche le foto cerco di farle mentre cammino per non interrompere il ritmo. Sento le voci degli amici dietro che chiacchierano e mi chiedo come fanno. Io faccio troppa fatica anche solo a respirare. Non alzo nemmeno tanto la testa per non spaventarmi di quello che mi aspetta! Silvio ha preso un passo buonissimo, lento e molto regolare: sento che carburo bene e solo sotto il Colle del Lys vado un po’ in crisi e chiedo di fermarmi. Sono un po’ scoraggiata, sto tribolando un po’ e mi ripeto: “Stavolta devo arrivare! Questa volta voglio arrivare!” Come sempre è la testa quella più difficile da controllare: il mio cuore ce la sta mettendo tutta e le mie gambe anche. Ho solo un piccolo problema nella zona inguinale della gamba destra: forse un piccolo stiramento che si fa sentire ogni volta che alzo la gamba per fare un passo. Una cosa fastidiosa ma sopportabile. Mi scappa anche un piccolo pensiero del tipo:”Ma chi cazzo me lo fa fare di andare su un 4000?!” Ma è solo un attimo. Lo so benissimo chi me lo fa fare! Il mio pensiero va a Lia che sento mi sta aspettando in punta al Rosa e le chiedo aiuto e forza per affrontare la salita. Nel frattempo arriva Ombretta in mio soccorso con il latte condensato che butto giù a golate: un vero toccasana che mi permette di recuperare energia immediata senza dover masticare, cosa che in questo momento non riuscirei proprio a fare. Gli amici mi fanno forza, loro non hanno nessun dubbio sul fatto che ce la possa fare: mancano solo più 300 metri, dobbiamo scollinare fare un lungo pezzo di spostamento e poi ci aspettano gli ultimi tratti di salita, l’ultimo, per fortuna non troppo lungo, davvero terribile. Un goccio d’acqua e si riparte. Silvio, giustamente, non perde tempo. Capisco subito che va meglio quando mi ritrovo a camminare in piano e a respirare normalmente: buon segno. Sul Bianco stavo male anche in discesa.
Dà anche una certa soddisfazione superare le altre cordate che sembravano tanto lanciate: proprio vero che in montagna il passo lento e regolare è la cosa migliore. Recupero fiducia e tono. Arriverò in punta senza altri problemi. L’ultimo pezzo sotto la Capanna Margherita è davvero tosto! Mi impongo di farlo senza alzare mai la testa, semplicemente mettendo un piede davanti all’altro. I miei compagni ora non chiacchierano più. Si sente solo il silenzio e la fatica dei respiri.
Alle 10 del mattino dopo 4 ore e 20’ siamo alla Capanna Margherita a quota 4580. Baci, abbracci e complimenti. Siamo tutti molto contenti, anche se decisamente affaticati e un po’ stronati. L’altitudine si fa sentire. La giornata è spettacolare e la vista è da mozzafiato. Io non conosco il nome delle cime (l’unico che riconosco è lo spettacolare Cervino!), ma non mi importa: mi bevo il paesaggio e me ne lascio impregnare. Mangiamo qualcosa, sosta ai cessi per qualcuno (ma non per me che, nonostante il diuretico, porterò tutto a valle!), foto di gruppo con lo striscione “Ciao Lia” e poi si riparte. Manca il tempo per fare il nostro momento di raccoglimento. Ombretta ha avuto un problema con il suo scarpone che si è aperto come una scatola di sardine ed è servito del tempo per ovviare al problema. Alla fine, poveraccia, si farà tutta la discesa con uno scarpone imprestato da uno del rifugio: peccato che lei porta il 37 e quello è un 42!!
Alle 11.20 riusciamo a ripartire, facendo molta attenzione al primo pezzo che è davvero ripido e stretto. Passato quello la discesa prende un certo ritmo: procediamo spediti nella neve marcia per il calore del sole. Decisamente faticoso. Silvio ci fa togliere i ramponi che non servono ed effettivamente si cammina meglio: bisogna solo aver l’accortezza di lasciarsi andare e scivolare un po’. Scendiamo in 2 ore e un quarto ed arriviamo un po’ stremati: la discesa ci ha proprio rotto le gambe. L’ultimo pezzo abbiamo patito anche un po’ il caldo: il sole è davvero forte e la giornata regge benissimo nonostante in basso si vedano dei nuvoloni. Ormai lo sappiamo di essere dei raccomandati: abbiamo un angelo che ci protegge!
Al Mantova ci rifocilliamo, alleggeriamo gli indumenti e soprattutto troviamo il tempo per fare un momento di raccoglimento tra noi: ne abbiamo tutti voglia. Ormai è diventata una consuetudine che aiuta a impregnarci dell’esperienza fatta. Un momento per ringraziare… per dedicare… per fare pensieri profondi… per condividere… per pensare a chi è rimasto a casa… eppure è con noi in quello spirito di condivisione che non conosce barriere di nessun tipo.
Davvero un bel momento che conclude degnamente questa esperienza che ormai è agli sgoccioli.
In mezz’ora scendiamo all’attacco della funivia, pestando di nuovo parecchia neve. Poi dopo questa ci aspetta il tratto con i fuoristrada che, purtroppo, si fanno attendere. Io penso ai miei sandali di cuoio che mi aspettano nel pullmino di Silvio, altri alla birra che si faranno a Gressoney!
E così si conclude questa esperienza, con i saluti sul piazzale di Gressoney-La Trinitè e le facce sorridenti e stanche di Ombretta e Carla che rientrano su Alessandria, mentre noi facciamo rotta su Saluzzo. Il nostro capolinea.
E ora qualche giorno dopo, mentre scrivo queste righe, serenamente rifletto.
Ognuno di noi è arrivato con il suo bagaglio di umanità, fatica e dolore, ma anche di forza, sogni e coraggio.
Ognuno ha affrontato le proprie paure, i propri draghi, dragoni e mostri. Ha fatto i conti con i propri limiti e le proprie risorse.
Questa è stata, ancora una volta, un’occasione per stare insieme in semplicità nella fatica di un cammino in alta quota, che ci ha dato l’opportunità di trasformare le nostre singole debolezze in una forza collettiva. E’ così è stato!
Ci siamo fatti compagnia, abbiamo riso e scherzato, ci siamo fatti forza e coraggio, ci siamo scaldati con i nostri sorrisi, i nostri sguardi e i nostri abbracci.
E tutto questo non è poco. Non è davvero poco.
Ancora una volta si è compiuta l’alchimia dell’amore, che non ha confini se non quelli che l’uomo gli dà.
Lia è stata con noi e ci ha accompagnato e su in alto, a 4580 metri, le siamo stati tutti più vicini.