Marcello, ex compagno di scuola, caro amico ed omonimo, alle 7.10 strombetta già sotto casa mia, non sa di poter disturbare chi ancora dorme placidamente in casa. Si parte, direzione Saluzzo. Al ritrovo da Cilla qualche minuto prima delle 8.00 non c’è nessuno ad accoglierci, l’ansia di aver sbagliato ora e luogo di ritrovo ci assale.
Gironzoliamo per una Saluzzo assonnata procurandoci La Stampa e leggendo maniacalmente le e-mail dal cellulare per controllare l’ora esatta dell’appuntamento e torniamo da Cilla, unica del gruppo che conosco, che esce improvvisamente da casa e ci saluta e abbraccia calorosamente.
Nello stupore di alcuni degli altri che pian piano arrivano mi pare di leggere: “Costui, con un braccio solo dove crede di andare?” Avrei voluto rispondergli: “ti farò vedere io!”.
Si parte col 9 posti di Silvio, la guida.
Recupero un po’ di tranquillità accaparrandomi subito l’ultimo sedile in compagnia di Marcello, dalle retrovie potrò tenere sotto controllo tutto il gruppo. Breve sosta in autostrada, ho rifatto la seconda colazione senza che nessuno se ne accorgesse. Scambio di posti a risalire, tecnica efficace per conoscerci meglio fin da subito. Sento dall’apertura (non solo dei finestrini!!) che diventeremo un bel gruppo.
A Gressoney ci attendono Carla e Ombretta di cui ho sentito a lungo parlare in viaggio, già in zona da qualche giorno per ferie e acclimatamento. Prepariamo con cura gli zaini seguendo i consigli della guida: niente di appeso, ma tutto all’interno per evitare di “perdere qualche pezzo” dal bagagliaio delle jeep navetta (che sostituiscono la funivia in rifacimento).
Corro, quasi non ho tempo per riempire la borraccia e per una pipì che si parte, non per il deserto, ma per il M Rosa. Da Staffal 1823 mt, dopo 8,5 km di sterrato accidentato raggiungiamo il Passo dei Salati mt 2970. Bellissimo il viaggio da “Overland”, crollano le ultime resistenze, si scherza, ormai la comitiva è al completo anche se Silvio e Marcello ci raggiungono con la jeep successiva. A fine deserto 4 cuccioli di stambecco si avvicinano, forse nella speranza di recuperare qualcosa da mangiare dai nostri zaini. Avevo faticato così tanto per chiudere lo zaino che non ho avuto coraggio di disfarlo alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare per quei poveri cuccioli.
Dalla nebbia si presenta silenziosa e generosa una nuova funivia “Monterosa Ski”, ancora definita “in progetto” sulle cartine, ma perfettamente funzionante, che ci porta sul ghiacciaio di Indren a quota 3350-3400.
Psicologicamente non ero preparato a così poco dislivello per guadagnare il rifugio Mantova a quota 3500 dove avremmo pernottato. La guida ci fa imbracare, non l’avevo mai fatto prima e questo mi costringe a chiedere aiuto: “Ora viene il bello soprattutto per me con un braccio solo. Silvio mi dai una mano? non so da che parte iniziare.” L’imbrago che mi aveva prestato mio fratello Icio e che finora mi aveva fatto sentire provetto alpinista, con difficoltà e un po’ di fortuna (non l’avevo nemmeno provato a casa) entra sopra i sottili pantaloni lunghi che indosso. Capisco all’istante che l’indomani non avrei potuto indossare i pantaloni più spessi da ski per salire sul Rosa vista la misura eccessivamente “giusta” dell’imbrago e sono terrorizzato.
La traversata del ghiacciaio prima e l’arrampicata su roccette poi, con corda fissa in alcuni passaggi dura circa un’oretta. Silvio vorrebbe legarmi e sarei l’unico. Lo sfido offrendogli il mio bastoncino ed agilmente inizio la traversata. “Non è il caso, ma fai attenzione” sento echeggiare. Fantastico, in quel momento percepisco di essere considerato alla pari degli altri, non mi preoccupano più i pantaloni sottili e nemmeno la fine grandinata e la pioggia che si alternano sul mio capo scoperto. Silvio ci dice che dietro la croce che vediamo c’è il rifugio, siamo arrivati.
Il rifugio è così elegante, grande e nuovo che si ha l’impressione di essere in un centro urbano e non isolati tra crepacci e ghiacciai.
L‘altitudine si fa sentire, tutti indistintamente ansimiamo percorrendo le scale interne per sistemare zaini, scarponi e guadagnare il dormitorio. “Come faremo domani ad affrontare i 1000 mt che ci dividono dalla cima del Rosa?”
Un bel tavolo a 10 posti ci accoglie per la cena delle 19,00. Fuori il tempo è capriccioso: neve, grandine, pioggia, sereno, nebbia e ancora pioggia. Negli innumerevoli intervalli atmosferici rischiamo qualche foto di gruppo sulla balconata del rifugio. I più nostalgici (sottoscritto compreso) chiamano casa. Familiarizziamo dinanzi ad un pasto caldo. In camerata, su ordine di Silvio, riduciamo all’essenziale il contenuto gli zaini per l’indomani. Lascio moltissima roba in deposito e capisco perché la guida ha uno zainetto mignon, dal quale continua ad estrarre cose come Mary Poppins.
Ad un certo punto una voce ci avvisa: “La bella giornata volge al termine”, forse è “il diplomatico buona notte alpino”, penso e faccio le scale in compagnia di Roby e Danilo. Il mio compagno di letto Marcello con mia grande invidia dorme sonni beati già da qualche ora, lui dell’altitudine se ne frega.
Provo a dormire col cerotto nasale anti russo, continuo ad avere una lieve emicrania e gli occhi affaticati, mi assalgono mille pensieri e preoccupazioni e non riesco a prendere sonno.“Come farò domattina ad affrontare la scalata senza aver riposato?” spero malignamente che qualcuno del gruppo condivida il mio disagio, non sarò così l’unica zavorra per il resto del gruppo.
Sveglia alle 4,20 ma non per il sottoscritto, colazione alle 5,00, si parte con una stellata mozzafiato ed una temperatura mite che mi tranquillizza. Tutti in fila come i nanetti di Biancaneve ramponati, imbragati e legati, lo scricchiolio dei ramponi è il canto di sottofondo che ci accomuna. Cordata a 6 con Silvio, in ordine: Cilla, Carla, Danilo ed il sottoscritto (le “femminucce”), Ombretta a chiudere. L’altra cordata con Matteo (promosso a guida da Silvio la sera prima durante le prove preliminari) con Marcello, Roby e Livio. Guadagnamo il rifugio Gnifetti che sembra spiarci, pochi minuti di salita ed è invece il Bianco alle nostre spalle, baciato per primo dal sole a spiare i nostri goffi passi. Mi sento osservato e mi distraggo schiantandomi nello zaino di Danilo. Per rimediare tento una foto in cordata, ma l’impresa è ardua, la mia dentiera lavora in continuazione, compensa la mano mancante tenendo ben salda la macchina fotografica.
Colle del Lys 4248 mt, a tre quarti del percorso fatto, si vede la meta, incoraggiante ma non vicinissima. Fugace tappa per la colazione e pipì per chi non teme il folto pubblico.
Ripartiamo grintosi, rifocillati, vediamo la meta accolti da una leggera discesa. Il cielo è tersissimo, ringrazio, scatto qualche foto, mi riposiziono per l’impennata finale dietro Danilo faticando un pochino e ogni 4-5 passi siamo fermi per qualcuno che fatica dinanzi a me. H 10,00 stupore, gioia, commozione, contemplazione, condivisione, abbracci. Lia ci osserva di lassù, mi sento persino un pochino più buono. Scambio di macchine fotografiche e coinvolgimento di altre persone disponibili per scattare le nostre foto di gruppo.
Ombretta si ritrova con un piede scalzo, si è disintegrata la suola dello scarpone. Non abbiamo tempo di stupirci e di preoccuparci che due angeli custodi si calano su di lei. Il primo si offre di avvitare la suola immediatamente, ma non è possibile, è da buttare. Interviene il secondo che le offre i suoi scarponi.
“Ma qui siamo proprio in Paradiso!” mi viene subito da pensare.
I miei occhi sono ancora pieni di Cervino, Bianco, Dente del Gigante, Punta Parrot, Liskamm, Punta Doufour ed Alagna molto molto più in basso.
Grazie al nostro tour operator Cilla, senza di te non saremmo saliti fin quassù. Mi porto a casa la tua voglia di vivere ed il tuo entusiasmo nonostante le batoste che la vita ti ha già riservato.
Grazie a te Silvio che con la tua esperienza, la tua calma, i tuoi silenzi, mi hai trasmesso quella serenità e sicurezza che mi mancavano per questo tipo di scalata che hai definito “Alpinismo su ghiacciaio”. Hai rispettato i miei limiti lasciandomi fare e intervenendo quando era necessario.
Cara Ombretta compagna di cordata amante ed esperta di montagna. Dinanzi al tuo abbigliamento perfettino provavo un lieve disagio che è scomparso quando hai rotto lo scarpone. Ho provato stupore quando mi hai detto che ti bastava tornare al rifugio perché li ti stavano aspettando gli scarponcini da passeggio.
Caro Roby ho apprezzato molto la tua generosità nel mettere a disposizione lo zaino raccoglitore di tutti i nostri esuberi. Avrei voluto in qualche modo ricambiare la tua generosità quando ti ho visto particolarmente affaticato. Ho gioito nel vedere tua moglie accompagnarti alla partenza e provato un po’ di tristezza quando ti abbiamo salutato lasciandoti da solo appoggiato alla cancellata.
Matteo, la nostra guida bis. Ho apprezzato il tuo amore appassionato e la tua esperienza per la montagna nonostante la tua giovane età.
Hai ricoperto bene il ruolo affidatoti da Silvio, hai saputo responsabilizzarti e responsabilizzare i tuoi compagni di cordata e soprattutto tenere a freno quel “discolo” di Marcello.
Grazie Danilo per la tua sensibilità e premure nei miei riguardi, si è subito percepito che lavori nell’ambito sanitario. Non dimenticherò le innumerevoli volte che mi hai chiesto “Marcello come va? hai bisogno di qualcosa? chiedi liberamente se sei in difficoltà”. Grazie anche delle condivisioni che ci siamo scambiati.
Cara Carla ti ho sentita vicina in modo particolare quando hai pregato per tuo figlio diciottenne.
Ho apprezzato il tuo essere iperattiva e la tua voglia di fare e affrontare la vita con grinta e determinazione.
Non ti spaventa la distanza chilometrica pur di rivedere “vecchie” amiche di scuola.
Che dire di te Livio? ho apprezzato la tua umiltà (solo l’indomani ho saputo che sei medico ed eri primario in ospedale) e generosità nel distribuire diuretici a tutti per prevenire i disturbi della quota. Spero di non doverne avere mai bisogno, ma dovessi avere disturbi cardiaci so che non mi volterai le spalle.
Caro Marci, so che non ti offendi se ti confido che ho provato una tremenda invidia nel vederti dormire così profondamente e incurante della quota come quando a scuola rimediavi un bel voto dopo avermi confessato che non avevi studiato nulla. Ti sei riposato più di tutti…e si è visto, non stavi zitto un momento durante l’ascesa quando io giocavo al risparmio. Mi dovrai spiegare, magari in separata sede “il metodo pipì su ghiacciaio” con l’imbragatura fino al collo.
Carissima Lia purtroppo non ti ho conosciuta fisicamente ma ti porto nel cuore. Sono certo che sei stata tu a farci raggiungere la vetta tutti quanti e che hai mandato in soccorso a Ombretta quei due magnifici angeli
L’ amicizia di ognuno di voi mi ha aiutato a vivere appieno quest’esperienza e a capire che per scalare il Rosa non sono indispensabili due braccia, ma un bel paio di occhiali da sole.