Salita all’Uja di Ciamarella – 6/7 agosto 2014
Chi l’avrebbe detto che un 3700 è molto più duro di un 4600? La Ciamarella peggio del Monte Rosa? Io no di sicuro. Nella mia ingenuità quando Silvio, qualche tempo fa, mi ha proposto come ascensione per Lia, la Ciamarella, presentandomela come una montagna interessante e fattibile, io ho pensato: “Finalmente qualcosa sotto i 4000 che non mi farà faticare!” Come mi sbagliavo!!
Veniamo ai fatti…
Siamo partiti mercoledì 6 agosto sul tardi della mattinata. Da Saluzzo io, Marcello, Pietro, Grazia e Silvio monsieur la guide. Da Alessandria Ombretta, Carla (scesa dall’Olanda apposta per noi!) e Gianni da Asti. Al ritrovo alle 13 a Pian della Mussa mancavano Roberto e Davide, padre e figlio, amici di Asti di Ombretta, che ci avrebbero raggiunto più tardi al rifugio.
Nove persone. Qualcuno “storico”, qualcuno nuovo. Bello questo rinnovamento, con lo “zoccolo duro” che salva la memoria del gruppo.
La giornata è abbastanza buona. Velata. Fresca. Il sole quando esce picchia duro. Forse riusciamo a prendere una finestra di due giorni di tempo sufficientemente buono in questa estate-non estate, così strana da non aver permesso qualche giorno filato di bel tempo!
Il gruppo si compatta ai 1850 metri del Pian della Mussa dove alle 14.30 riusciamo a metterci in marcia, dopo aver verificato imbrago, ramponi e piccozza per tutti. Come sempre Silvio è molto attento e sollecito.
Io sto bene. Mentre gli altri si preparano mangio qualcosa e chiacchiero con Maria Grazia, nuova amica del gruppo ma anche mia, acquisto recente e felice della mia vita.
La salita al rifugio Gastaldi si snoda bella, con una pendenza che non molla per tutti i suoi 800 metri di dislivello. Li percorriamo in due ore e dieci e io noto subito un certo affaticamento, che addebito alla stanchezza e al fatto di camminare a pomeriggio inoltrato. Meno male che la nebbia che sopraggiunge nell’ultimo tratto rinfresca e ci salva dalla calura.
Il rifugio ci appare in un paesaggio aspro e selvaggio, attorniato da un catino di montagne tra cui spiccano, maestose e imponenti, la Bessanese e la Ciamarella. Il mio primo pensiero quando la inquadro è: “Ma dobbiamo salire fin lassù?”
Quando poi esce il sole il paesaggio si addolcisce e dopo esserci sistemati nella camerata, una parte di noi si mette fuori su una panca a chiacchierare in attesa della cena.
Silvio nel frattempo è sparito. Mi dicono essere andato in perlustrazione del sentiero che faremo l’indomani: è 30 anni che non sale da queste parti e vuole controllare il tracciato, almeno nella sua prima parte.
Il rifugio che ci accoglie non è particolarmente bello ma è comodo. Abbiamo una camerata tutta per noi (mai visto un rifugio così deserto!) e i bagni sono al piano. Roba da signori!
Ho modo di conoscere la cuoca che viene fuori a godersi l’ultimo sole mentre macina una quantità incredibile di pepe (sarà per la nostra pasta!) e scopro che è una scout di Torino con la quale troviamo argomenti comuni di conversazione.
La cena si svolge in un clima di allegria e cordialità dopo l’arrivo di Roberto e Davide. E’ abbondante: ci offrono la pasta e il minestrone, cosa che non capita mai, con secondo, contorno, frutta e dolce. Io mangio parecchio. Ho fame. Subito però accuso una stanchezza infinita. Probabilmente si vede perché gli altri mi chiedono se sto male, ma ho solo tanto sonno e non vedo l’ora di andare a letto.
Sono tra i primi a coricarmi: alle 21.15 siamo a nanna io, Carla, Grazia e Marcello, il quale, beato lui, appena tocca il cuscino dorme come un sasso!!
Nella camerata fa freddo e mi godo il calduccio sotto due coperte pesanti, anche se dormo in slip e maglietta. Non riuscirò mai a capire come fa Ombretta a dormire completamente vestita! Alle 4.20 è la prima ad alzarsi, accendere la luce ed essere già pronta!
Mi alzo di malavoglia (il primo pensiero è: “Ma chi cavolo me lo fa fare!?!?”) anche se ho passato una notte abbastanza buona in cui mi sembra di aver riposato a sufficienza.
Questa volta mi sono ricordata di portare i tappi!! Sgomberiamo la camerata facendo abbastanza rumore per poi accorgerci che c’è un involto sotto le coperte che non si è alzato. Io e Ombretta non riusciamo a capire chi è; il gestore ci aveva detto che la camerata era tutta per noi. Alla fine con gran ilarità l’involto borbotta un:”Io non vengo con voi!” Scopriremo poi che è la guida che accompagna un piccolo gruppo di francesi.
Colazione e poi i preparativi scorrono veloci non avendo imbraghi e ramponi da mettere. Essendo io un po’ lenta e avendo attrezzatura non molto moderna mi muovo per tempo per paura di far aspettare il gruppo, mettendomi addosso tutti gli strati necessari comprese le ghette. Fuori comunque non fa il freddo che temevo e dovrò abbastanza presto svestirmi per non sudare.
Alle 5.20 il gruppo si mette in marcia con le frontali accese e le prime luci dell’alba che fanno lentamente capolino. Questi primi momenti del nuovo giorno valgono davvero l’alzataccia! Ogni volta che assisto a questo spettacolo la meraviglia è tanta!
Il percorso prevede 4 ore di cammino ma Silvio la sera prima, mentre preparavamo le cordate, ha buttato lì un “4-5 ore” e poi un “vedremo…” che mi ha un po’ allarmato. Effettivamente il tracciato perde quota per i primi 40 minuti che ci permettono di scollinare nella vallata adiacente e alla fine il dislivello risulta essere di più di 1100 metri.
Non abbiamo lasciato le cose al rifugio perché non ci torneremo più; scenderemo direttamente alle auto risparmiando tempo e soprattutto quota, cosa che al ritorno ci farà immensamente piacere!
Dopo aver lasciato le cose pesanti e inutili presso una grande pietra ci incamminiamo verso il ghiacciaio seguendo un lungo tratto di pietraia che trovo subito estremamente faticoso. Faccio fatica a respirare e ho parecchio sonno. Sento Marcello e Pietro che chiacchierano come matti e mi chiedo come facciano. Sono così affaticata che non riesco neanche a fotografare quei 5-6 stambecchi che ci fanno compagnia per un lungo pezzo di strada. Sono troppo impegnata a respirare, a mettere un piede davanti all’altro e a non inciampare. A un certo punto la situazione diventa così pesante che penso seriamente di fermarmi alla base del ghiacciaio. La punta è lì davanti a me e, a parte che non vedo dove riusciremo a passare, mi sembra irraggiungibile.
Non so come fare. Il cielo è un po’ velato da nuvole leggere a pecorelle e ho abbastanza freddo. Aspettare qui vuol dire stare ferma almeno 3-4 ore in una landa deserta dove non c’è assolutamente nessuno. Dopo di noi solo una coppia che ci segue, approfittando della competenza della nostra guida. Silvio mi esorta a pensarci bene ma io temo di essere di intralcio al gruppo. Alla fine è Marcello a risolvere la questione con un deciso:”Tu vieni e basta! Ti portiamo su noi!” Lì sento la forza del gruppo che ti aiuta ad andare avanti anche quando non ne hai la forza e che ti dona la sua energia quando l’hai esaurita.
A quel punto l’illuminazione! Nello zaino tra le medicine che fortunatamente ho portato, ho il diuretico che il mio amico, il buon dottor Livio, mi ha consigliato di prendere e che io non ho preso “tanto stiamo sotto i 4000!” Così prima dell’ultimo salto di roccia prendo la mezza preziosa pastiglietta, giocandomi il tutto per tutto.
Qui nota deliziosa. Non ho tempo di fare “Ba!” che Grazia in un attimo mi ha aperto lo zaino togliendomi tutto il possibile peso che poi le mie amiche donne si caricano sulle loro spalle. Quando gli uomini dopo si offrono di aiutarmi la risposta è: “Siete arrivati tardi!”
La sorellanza… che meraviglia!! Grazie care amiche!!
Tempo di arrivare alla base del ghiacciaio, fare pipì, imbragarci e ramponarci tutti… e quando attacco la neve mi accorgo che sto meglio! Finalmente!!
Camminiamo una mezzoretta su questo residuo di ghiacciaio che 30 anni fa doveva essere una meraviglia! Poi togliamo di nuovo i ramponi e ci arrampichiamo (sempre legati) su un pendio ripido e sfasciato, di quelli “un passo avanti e tre indietro!”
E poi dopo un salto di roccia l’ultimo tratto di ghiacciaio, davvero ripido, che ci porterà in vetta. Silvio ha preso un passo lento e regolare che permette a tutti di salire pur essendo parecchio affaticati. Io a questo punto cammino tranquilla e riesco anche a parlare con lui mentre sento il respiro affannato di Carla dietro di me.
Dopo 5 ore e mezza, alle 10.50 arriviamo ai 3676 metri della vetta, dove ci attendono il busto del Beato Murialdo e una statua della Madonna. Siamo tutti veramente felici. Questa punta ci è costata davvero tanto e vedo facce stanche ma soddisfatte.
Lo scenario è maestoso. Si vede il Bianco in tutta la sua imponenza e nuvole che veleggiano veloci sulle montagne. Il salto sotto di noi è impressionante.
Facciamo le foto con lo striscione per salutare Lia, anima della nostra impresa e poi, dopo un breve ristoro, si riparte. Per il nostro momento di meditazione comune dovremo attendere più tardi.
La discesa e lunga ed eterna quanto basta. In tre ore scendiamo al punto dove abbiamo lasciato cibarie e il resto della roba. Qui facciamo pranzo e poi ci raccogliamo in un momento di riflessione che da sempre caratterizza e contraddistingue le nostre ascensioni. Ci diciamo un sacco di cose belle, intime e personali, che mi fanno rendere grazie per questa umanità in cammino. Siamo esseri fragili, deboli, stanchi ma meravigliosi perché siamo stati capaci di unire le nostre forze per fare qualcosa che da soli non saremmo stati capaci di fare! Davvero. Per me è sicuramente così.
E poi ultima discesa. In neanche due ore arriviamo alle auto, allietati dai canti di Pietro che ci canta tutti il repertorio della sua corale! Ombretta e Davide sono scesi di corsa e li vedo lontani giù al torrente. Marcello ha male a un ginocchio e procede solo davanti a noi, in un cammino quasi spirituale tanto è pensato, zoppicando visibilmente. Gianni ha rotto lo scarpone (di nuovo!! A quanto pare sta diventando un’abitudine che qualcuno ci lasci le scarpe!) e cammina con stringhe di soccorso per non perderlo. Io mi accompagno a Grazia che è vicina a me e tra una parola e l’altra cerco di non pensare al male che sento praticamente ovunque (gambe, ginocchia, piedi…) patendo così meno la fatica di ogni singolo passo che mi porta a valle.
Alla fine siamo giù. La gita è terminata. Si ritorna a casa. Ognuno ai propri mondi e alle proprie occupazioni. Ma con una certezza: il prossimo anno, per chi vorrà, saremo di nuovo qui. Sicuro.
Già all’andata in auto sentivo gli amici dire:”Cosa facciamo il prossimo anno?” e giù proposte… Che bello! Anche se so già che imprecherò contro il 4000 di turno e mi chiederò ancora una volta chi me lo fa fare!
Ma io lo so chi me lo fa fare!
La montagna me lo fa fare.
Gli amici me lo fanno fare.
L’amore per Lia me lo fa fare.
La mia determinazione me lo fa fare.
La mia energia e il mio attaccamento alla Vita me lo fanno fare.
Grazie a tutti voi che avete condiviso con me questa fatica.
Grazie a Marcello, stambecco del gruppo che mi ha dato la forza per andare avanti e non ha pensato neanche per un momento che mi potessi fermare.
Grazie a Ombretta che mi vuole bene e si preoccupa per me.
Grazie a Carla che ogni volta arriva dall’Olanda per stare con noi e poi manda foto su face book ai suoi amici per far vedere fin dove è arrivata!
Grazie a Maria Grazia che ha saputo starmi vicina invitandomi a respirare e basta…
Grazie a Gianni che non capirò mai come fa a fare queste bestie di gite senza allenamento!
Grazie a Pietro che dopo due anni è tornato tra noi e ci ha allietato con la sua presenza allegra e canterina.
Grazie a Davide, il più giovane del gruppo e sicuramente il più allenato, per le cose belle che ha detto e condiviso con noi.
Grazie a Roberto, suo padre, per la presenza silenziosa e discreta di uno che cammina e fa silenzio. Spero di rivedervi il prossimo anno!
Grazie a Silvio la nostra mitica guida che quest’anno ho sentito veramente dei nostri e non solo perché ha finalmente parlato nella riflessione finale!
E poi io Cilla, che ho compiuto ieri 50 anni e che spero di andare in montagna fino alla fine dei miei giorni su questa terra. Io che nella montagna e nel suo andarci, ritrovo radici profonde che mi parlano di saggezza, fatica, pazienza, silenzio, trascendenza, rispetto e valori grandi e inestimabili…
E Grazie a Lia che è diventata il motore e l’anima di questa iniziativa. Che ci protegge e ci sprona a fare sempre meglio, ci invita a darci la mano e salire in cordata verso vette difficili, trovando in questo legame la nostra forza e anche il nostro limite. Quello della nostra umanità…
Grazie a tutti e grazie Lia. Sei sempre nei nostri cuori.
Saluzzo, 28 agosto 2014
Cilla