La salita al Monviso dell’anno scorso è stata talmente bella che non si poteva non ripetere.
Ed è così che anche quest’anno, 31 agosto 2010, un piccolo gruppo di amici si ritrova a Castello di Pontechianale per affrontare il sentiero che attraverso il vallone di Vallanta conduce al bivacco Berardo e da qui a quello delle Forciolline.
Quest’anno è stato per me l’anno della montagna! Ho fatto parecchie escursioni di cui alcune importanti come il giro del Viso con Carla e Ombretta e l’ascensione al Bianco che mi ha visto toccare i 4500 metri. Al confronto di quest’ultima il Viso è davvero una passeggiata, eppure ho un po’ di timore per la grande stanchezza che mi porto appresso (con tutti i barattoli che ho messo in cantina!), anche se non c’è in me traccia dell’apprensione dell’anno scorso: so cosa mi aspetta e so di potercela fare.
La salita al bivacco avviene in una giornata spettacolare, una delle più belle dell’estate, tersa e limpida all’inverosimile ma con un freddo pungente: 7°! Che mi inducono, appena scesa dall’auto, a cambiarmi più che in fretta: io che tutta trullari ero partita in canotta e pantaloncini! Ma previdente ho messo nello zaino la calzamaglia per il giorno dopo: chissà che freddo alle 5 del mattino a 2800 metri!
Partiamo quindi io, Ombretta, Roberto (che ci è passato a prendere a Saluzzo) e Giorgio, nuovo acquisto del gruppo, amico di Marcello (che arriverà solo in serata col figlio Luca), che molto simpaticamente ha scelto di fare la salita con noi per poterci conoscere meglio in vista della salita in cordata del giorno dopo.
Salire legati è sempre una cosa che mi colpisce molto perché mi fa capire quanto è necessario essere presenti a quello che stai facendo e soprattutto essere attenti a chi hai accanto: ogni tuo passo deve essere sincronizzato con chi ti precede e chi ti segue, facendo attenzione che la corda sia sempre in tiro. Davvero un’esperienza che diventa lezione di vita!
Sono contenta di essere di nuovo in montagna con la quale ho un legame che dura ormai da una vita e che mi ha regalato tanti bei momenti e tante belle emozioni. Sono contenta di essere con questi amici con cui c’è una bella confidenza, una buona sintonia e parecchia allegria. Ogni tanto scappa qualche battuta che mi fa ridere di gusto e col cuore: salgo col cuore leggero e senza preoccupazioni, se non per un breve momento quando ricevo inaspettata, una telefonata di lavoro che mi induce ad attivarmi per risolvere un problema che pare essere urgente.
Sento le mie gambe che mi portano in alto e il mio cuore che batte e vivo gratitudine per essere quella che sono.
Ci inerpichiamo dunque per il bel sentiero che sale ripido verso il Berardo e mi accorgo di avere un fiatone non indifferente, anche se continuo a ciarlare per buona parte del tragitto (la mia lingua lunga mi verrà rimproverata spesso nei due giorni…!)
Devo confessare ora che mi portavo dentro “l’ombra del Bianco” ovvero il timore che si potesse ripetere l’esperienza del mal di quota che mi ha impedito di arrivare in vetta. In realtà quando arrivo al bivacco Berardo (percorso compiuto in 3 ore di salita) con le gambe un po’ stanche mi rendo conto che ho solo una gran fame perché il mio stomaco è vuoto come un sacco. E sono in buona compagnia! E così a mezzogiorno in punto, appoggiati su quella magnifica cengia di roccia ci facciamo il nostro bel pranzetto, scoprendo così come mai Giorgio ha lo zaino tanto pesante: ha portato non solo focacce per tutti ma anche le banane!
Che sono notoriamente un frutto molto leggero adatto da mettere nello zaino!
Ed è così che Giorgio è diventato il nostro fornitore ufficiale di banane!
Per le angurie dice che provvederà…
Ci rimettiamo in marcia e con Giorgio approfondiamo la conoscenza: mi fa parecchie domande e percepisco la sua voglia di conoscerci meglio. Il cammino aiuta la parola e la parola mi aiuta a non pensare troppo a quell’antipatica pietraia che stiamo attraversando: con un’altra ora di percorso raggiungiamo il bivacco delle Forciolline che ci appare in tutto il suo splendore con quei magnifici laghi a fargli da contorno. E’ davvero un posto magnifico e io arrivando ho la sensazione di tornare a casa.
Qui troviamo monsieur la guide Silvio, fresco come una rosa, che ci aspetta perché ha già fatto l’ascensione in mattinata con due clienti tedeschi. Ma come farà mi chiedo: due volte il Viso in due giorni! Avrà un motorino al posto delle gambe?
Meno male che c’è già lui perché ci ha tenuto i posti; il Bivacco infatti sembra strapieno e c’è parecchio movimento. Scopriremo dopo che quella notte ci hanno dormito in 24… tipo sardine in scatola!
Arriviamo e dopo aver occupato i letti ci piazziamo fuori al sole, al riparo dall’aria che soffia fredda. Non ci metto molto ad appisolarmi sentendo in sordina le voci degli amici che chiacchierano e raccontano. Alla fine rimaniamo solo più io e Ombretta e sarà l’ombra a mandarci via. Ma sono ormai le 16.30 ed è ora di andare a prendere l’acqua alla sorgente sopra il lago. Parte una spedizione armata di bottiglie di plastica e borracce. Io invece rimango al Bivacco a tenere i posti: ne approfitto per scrivere e socializzare con le simpatiche persone che mi fanno compagnia. Siamo nel “soggiorno” del bivacco inondato dal sole e sto davvero bene seduta su quei comodi sgabelli di legno, appoggiata alla parete, con la penna in mano. I miei nuovi amici si chiamano Aldo che è venuto su con figlio e nipote, uno dei quali (non so se il figlio o il nipote…) fa della fotografie straordinarie con una macchina fantastica, mi dice Giorgio che se ne intende.
L’altro ospite è un ragazzo che passerà alla storia come “il nipote”: infatti è in attesa che suo zio torni da una passeggiata attorno al bivacco.
In realtà capita che:
-lo zio a passeggio è arrivato fino al bivacco Andreotti e gli ha mandato a dire, da gente che scendeva, di raggiungerlo;
-lui non ha gradito per niente questa cosa, anzi si è arrabbiato parecchio perché ormai è pomeriggio inoltrato;
-più tardi decide comunque di partire;
-si perde e ci mette 3 ore per raggiungere il bivacco per poi accorgersi che lo zio suddetto non c’è!
-infatti costui, vedendo che non arriva l’amato nipote è nel frattempo tornato a valle, per sentirsi dire che il ragazzo è già partito da un pezzo. Quindi un po’ incazzato ritorna su. Di nuovo.
Alla fine pare che si siano poi trovati. Sul contenuto delle parole che si sono detti non abbiamo indagato.
Davvero se ne vedono di tutti i colori…
A proposito di colori, c’è anche un signore simpatico con uno strano cappello in testa che gli copre la pelata. Ci metto un po’ a capire che lui non è salito a Viso perché soffre la quota e che anzi sta già parecchio male: si sente stringere al petto ed è dal mattino che non mangia nulla. Vorrebbe scendere ma non sa che fine ha fatto il resto della compagnia (tra cui sua moglie): costoro sono in giro dalle 5 del mattino. Sono le 17 e non sono ancora tornati. È giustamente preoccupato (e io con lui), anche perché ha una radio con la quale cerca inutilmente da tempo, di contattare l’accompagnatore che ha portato il gruppo in vetta. Quando finalmente alle 18.30 fanno la loro comparsa stremati e stravolti dopo 13 ore e mezzo (ma come diavolo avranno fatto a metterci tanto?), capita un parapiglia perché avrebbero la pretesa di riprendersi i loro letti! Come se il bivacco fosse il grand hotel!
Io me ne sto buona buona e zitta zitta nel mio angolo intenta alla scrittura e quando entra Giorgio, ignaro di tutto, gli faccio capire che è meglio sgombrare il campo, aspettando che i signori procedano per altri lidi: hanno infatti deciso di andare a dormire al Berardo. Sono un po’ dispiaciuta per il malinteso ma forse è meglio così… tirava una brutta aria…
La scrittura mi permette di rivivere la sera precedente quando, alle 22.30, è arrivata Ombretta col suo carico di stanchezza e un sorriso dolce sul volto. Fiocco le ha fatto un sacco di feste, riconoscendo in lei l’amica della camminata di domenica precedente. Ha cercato di imbucarsi in camera con lei e non ci è riuscito perché non l’ho lasciato. Ma ha recuperato il mattino dopo quando Ombretta è scesa alle 5.30 per andare in bagno: l’ha trovato acciambellato sul letto che la guardava col suo sguardo implorante, stile Hollywood, della serie “Penserai mica di farmi scendere? Non ti faccio pena?”
Caro dolce Fiocco! Lasciarlo al mattino mi è proprio dispiaciuto. Ci guardava con quegli occhioni ed era in fibrillazione già dalla sera quando ha visto preparare gli zaini.
Il pomeriggio procede spedito. Abbiamo l’acqua e il necessario per una cena da leoni (ma quanta roba abbiamo portato?!) ma mancano Marcello e Luca e soprattutto la pentola per fare cuocere la famosa minestra Knorr, che nessuno di noi mangerebbe mai a casa, ma che in rifugio è persino buona. Arrivano finalmente alle 19 passate, stanchi con zaini davvero grevi: hanno sbagliato strada allungando così il cammino di mezz’ora.
Marcello ha un chilo e sette di pentola e Luca ha portato su le leccornie preparate dalla moglie: frittate e rotoli di mozzarella farciti, il tutto in contenitori tupperware decisamente pesanti.
Davvero l’arte dell’essenziale in montagna si impara con l’esperienza. Silvio insegna, col suo zaino minuscolo da Eta Beta, come dice Ombretta, in cui riesce a far stare ciò che serve compresa la bottiglia di Arneis!
Ci ritroviamo felici a tavola, tutti insieme, in un clima di allegria e serenità. Percepisco che ciascuno è contento di essere qui e di essere insieme. Il giorno dopo abbiamo un’impresa da affrontare e ognuno di noi ci arriva col suo carico di stanchezza, di problemi, di fatica, ma deciso a mettere in comune le proprie energie e risorse. Davvero belle cose ci sta regalando Lia.
Alla nostra mensa si aggiunge anche Aldo che chiacchiera amabilmente con Giorgio, ma che non mangia nulla (nemmeno lo squisito salame dolce di Vilma!) perché ha già lavato i denti!
La sera diventa notte. Alle 21 vado a coricarmi non tanto perché ho sonno, quanto per non disturbare le altre persone che sono già a letto. Sono tranquilla, come un pisello nel baccello, nel mio bozzolo di coperte e aspetto che venga il sonno, chiacchiero un po’ con Giorgio, mio vicino di letto il quale mi confida di russare. Davvero non una bella notizia! Già nei bivacchi si dorme poco…
In effetti la mia notte si dipana tra sonnellini e risvegli e al mattino ho la sensazione di non aver dormito molto, ma sono abbastanza riposata. E inoltre non ho il mal di testa dell’anno scorso, cosa di cui sono grata.
Della notte passata mi rimane lo stupore di aver guardato fuori dalla finestra alle 2 e aver visto la… neve! La neve? Ma se era tutto sereno! Mi spiegherà Robi che è la luna, sorta da poco, a fare quella luce pazzesca da rendere tutto bianco, come se avesse nevicato. Incredibile! Ci sono davvero tante cose di cui essere contenta.
Alle 5 siamo tutti pronti fuori dal bivacco con le frontali accese. Ci incamminiamo dietro Silvio della cui presenza sono riconoscente: è bello camminare dietro qualcuno che ti segna la strada, senza doversi preoccupare di null’altro che mettere bene il piede successivo. Di nuovo ritrovo conforto nell’oscurità (che tanto mi ha pesato sul Bianco con quella levataccia alle due di notte!) e nella mia luce frontale che illumina l’indispensabile al mio cammino e non il superfluo. Come spesso accade nella nostra vita abbiamo solo il necessario per il passo successivo. E nulla più.
Sento il mio corpo che si abitua al passo, il cuore che batte rapido e le mie gambe che arrancano obbedienti e diligenti sulle pietre. La mia testa è sgombra e mi fanno compagnia le voci degli altri che chiacchierano sullo sfondo dei miei pensieri. Io preferisco il silenzio. La notte è troppo bella e, ringraziando, neanche fredda come si temeva: non ho neanche messo la calzamaglia ed il pile è sufficiente.
Man mano che saliamo iniziamo a intravedere le prime luci del nuovo giorno. Dapprima un chiarore soffuso, poi una striscia di luce e poi quelle luci sulla pianura… le città dormono ancora… mi immagino le persone, con le loro storie, nelle loro case, che riposano nei loro letti e penso a tutti gli amici che ci hanno assicurato un pensiero e una preghiera. È davvero speciale questa comunione d’anime!
Procediamo spediti con un buon passo, arriviamo all’Andreotti in poco meno di due ore e poco sopra ci imbraghiamo. Decidiamo che Marcello e Robi saliranno slegati e noi altri legati alla guida. Sono contenta di questo: non amo la corda ed essere legata, ma Silvio mi dà sicurezza. Salendo ci sono passaggi davvero esposti ed è facile farsi male. Purtroppo, 24 ore dopo di noi morirà una persona su queste rocce.
Salgo e arranco, salgo e faccio parecchia fatica, salgo e ho un fiatone dell’accidenti. Lo spettro del Bianco incombe… Non è che si ripete la cosa? Non è che devo rinunciare? No, questo no… voglio arrivare in cima… questi i miei pensieri mentre monitoro il mio organismo che mi manda strani segnali che non mi aspettavo. Mi sembra di essere Carla l’anno scorso che aveva un fiatone pazzesco, ma lei a ragione visto che abita in Olanda! Ad ogni modo alle 9 in punto, dopo quattro ore scarse di salita siamo in cima. C’è una giornata incredibile! Mai vista una cosa del genere… le catene di monti si susseguono a vista d’occhio e in fondo si vede il … mare! Dio che commozione per tanta bellezza! Me la sono proprio sudata questa salita ma meritava! In punta c’è parecchia gente e cerchiamo riparo sottovento. Mangiamo due biscotti (che buoni i Grisbì di Luca!) e facciamo le foto con lo striscione che saluta Lia e che abbiamo già portato sul Bianco. Poi ci raccogliamo in un momento di “preghiera laica” in cui ognuno dice qualcosa per fermare le emozioni, i pensieri, per raccogliersi… Ed è come se, all’improvviso, ci fossimo solo più noi. Non ci sono più le voci degli altri, non più rumore… solo noi e quel panorama mozzafiato così bello da piangere. La bellezza mi ricorda Lia che era molto bella, sotto tanti punti di vista… la commozione è grande.
Ora non posso che ringraziare questi compagni di cordata con cui ho diviso pezzi importanti della mia storia e grandi e impagabili emozioni.
In punta ricordiamo anche tutte le persone che ci stanno pensando e che spiritualmente sono con noi, in quest’impresa dedicata a una ragazza di 16 anni partita troppo presto per il lungo viaggio.
Il ritorno si snoda faticoso e lungo. Scendiamo col metodo Kuleman brevettato da Silvio, che è decisamente più veloce ma ci vorranno tre ore e mezza per arrivare al bivacco delle Forciolline. Alle 13.30 siamo seduti al tavolo a mangiare pranzo: tutto quel bendiddio avanzato dalla sera prima. Abbiamo mezz’ora (Silvio a volte è davvero terribile!) e poi si riparte. Giù per il vallone delle Forciolline, un orrido spettacolare ma decisamente orribile da scendere per le mie gambe davvero provate dalla fatica.
Faccio attenzione a ogni passo perché so che mi potrei fare male facilmente. Mi concentro solo sul passo successivo sapendo che la strada è ancora lunga. In tre ore e un quarto raggiungiamo l’auto che ci sta aspettando a Castello. Abbiamo camminato dieci ore e quarantacinque e siamo in piedi dalle 4 del mattino. Ombretta sogna una birra già da parecchio tempo. Si va tutti al rifugio dell’Alevè a bere qualcosa godendoci gli ultimi attimi della compagnia reciproca.
Vivo grande gratitudine per tutti voi…
Grazie a te Ombretta, con la quale vivo momenti di profonda sintonia, che hai subito deciso di esserci anche quest’anno e che mi ricordi un pezzo della mia storia ormai lontana.
Grazie a te Robi, che riesci a farmi ridere di gusto con le tue espressioni simpatiche e divertenti e che, con la tua presenza, hai portato Mavi con te… Alla fine del sentiero, pur stanco morto, hai iniziato ad accelerare il passo chiamando “Casa… Mavi… Mavi…” Si vedeva che avevi una voglia matta di vederla!
Grazie a te Luca, che ti sei unito così bene alla nostra compagnia e che hai fatto tutta quella fatica senza preparazione e con uno zaino carico di mozzarelle e frittate!
Grazie a te Marcello, che ormai per me sei “Marcelloooooo!” da quando il simpatico francese chiamato Alain ha urlato il tuo nome su quella parete non so quanti miliardi di volte. Sei unico, con la tua freschezza, la tua ricchezza, la tua semplicità. Mi rimane l’immagine di te che dormi un attimo come un bambino nel bivacco, accanto a tuo figlio Luca, per cercare di recuperare la fatica prima di scendere nel vallone dannato.
Grazie a te Giorgio, new entry della comitiva, che hai voluto stare con noi sin dall’inizio e che hai saputo metterti in gioco così bene con le tue paure, i tuoi dubbi, le tue certezze, usando questa salita come esperienza per crescere. E’ stato un piacere conoscerti!
Grazie a te Silvio, monsieur la guide, che sai condurci così bene sui passaggi impervi della montagna. Grazie per i tuoi silenzi e i tuoi sguardi che dicono più di mille parole!
E grazie a te Lia che mi hai dato tanto. E che mi accompagni, con la tua presenza silenziosa, ogni giorno che Dio manda in terra.