Ho ancora negli occhi quella distesa bianca e infinita di neve.
Ho ancora nelle orecchie il silenzio di quegli spazi infiniti.
Ho ancora nel cuore la sensazione di pace, solidità, forza che la montagna ti sa regalare.
E’ stato un bellissimo giro ad anello molto faticoso, per me non adeguatamente allenata.
Ma come sempre la montagna è maestra. Ti sa mettere davanti ai tuoi limiti e ti obbliga a usare tutte le tue risorse. Anche quelle che non sapevi di avere.
Quest’anno, grazie alla proposta di Ombretta, abbiamo deciso di andare un po’ più lontano: Adamello!! Una montagna a noi sconosciuta che appartiene alle reminiscenze scolastiche della prima guerra mondiale.
Di questa ascensione sapevo solo che: mi dovevo svegliare sabato mattina alle 3, che avremmo dovuto fare 6 ore di auto, 1500 metri di dislivello per raggiungere il rifugio, 500 metri per la vetta con tanto spostamento e 2000 metri in discesa. Impegnativo il giusto. Sulla carta.
Poi però quando ti ritrovi sulla montagna reale, che diventa pietra, canalino, pendenza, corda, passaggio verticale, neve da pestare in cui affondi senza pietà, ti accorgi che non riesci a prendere il passo, perché quel tracciato è troppo irregolare per trovare il ritmo.
E allora semplicemente fatichi. E tanto. Stringi i denti e ti concentri solo sui passi successivi.
E non guardi null’altro che il pezzetto davanti a te e non ti accorgi che quella lingua di neve su cui scivoli potrebbe farti davvero male…
Alla fine, dopo 5 ore e 45’ di dura salita, il mio pianto liberatorio ha detto più di mille parole.
Il rifugio è grande e accogliente, ricostruzione di una vecchia casermetta e con una vista mozzafiato sul ghiacciaio sottostante. Davvero uno spettacolo!!
Apprezzo particolarmente il pannello riscaldato dove far asciugare scarponi e calze: i miei, a forza di affondare nella neve, sono fradici!
Siamo in 110! Qualcuno dovrà dormire su brandine collocate in refettorio. La nostra camerata è grande: saremo in 50, con letti a ello a tre piani. Prevedo concerto di russatori professionisti! La sera precedente erano solo in 7 (stamattina il meteo non era buono) mentre per domani le previsioni sono bellissime!
Una buona cena, quattro chiacchiere in allegra compagnia e alle 21 vado a letto. La sveglia è per le 4 e io sono davvero stanca. Dormire in rifugio è per me sempre un’impresa e invidio tanto Marcello che dorme come un sasso ovunque egli sia. Dopo essermi dotata di tappi per le orecchie e melatonina, dormo meglio di altre volte e mi alzo abbastanza riposata, anche se con una leggera nausea che mi impedisce di fare una buona colazione.
Ci prepariamo (questa volta dobbiamo portarci dietro tutto perché non passeremo più dal rifugio) e ci ritroviamo fuori alle 5 del mattino nel primo chiarore dell’aurora. Non fa freddo. Non c’è vento. Basta la bandana. Temperatura ideale.
Dopo esserci spostati su un breve tratto di pietre raggiungiamo l’attacco del ghiacciaio dove mettiamo i ramponi e ci leghiamo. Saliremo in 2 cordate. Silvio con me, Pietro e Davide. L’altra con Mauro, Ombretta e Marcello. Alle 5.30 iniziamo a camminare.
Il tracciato ci fa inizialmente perdere quota per poi fare dei lunghi traversi in piano. C’è davvero molto spostamento ma si cammina abbastanza bene perché la neve è dura. La parte finale invece è bella ripida (avevamo una variante più facile e più lunga ma noi naturalmente non l’abbiamo scelta!) e gli ultimi 100 metri si posano i ramponi e ci si arrampica come scimmie. In 3 ore e 45’ siamo in vetta!! La vista sulle montagne circostanti è mozzafiato! Il tempo è splendido: ancora una volta Lia ci ha aiutati! In punta le rivolgo un sorriso e un ringraziamento: le ho chiesto di starmi vicina quando pensavo di non farcela più e lei non mi ha lasciata sola.
E poi visto che Silvio come sempre preme, iniziamo la lunga (ma non sapevamo quanto!!) discesa. Ci aspettano più di 2000 metri di dislivello. Dopo le roccette rimettiamo i ramponi e iniziamo la discesa di questo ghiacciaio infinito. Il fondo ora è molle, tutto cunette e dossi, fa caldo, ed è abbastanza faticoso camminarci sopra. Ad un certo punto mi sembra di essere in un deserto di ghiaccio: alzo la testa e mi sembra di essere sempre allo stesso punto. Non ho mai visto un ghiacciaio così imponente, e a una quota neanche troppo elevata. E’ talmente esteso che ci mettiamo 3 ore per arrivare al fondo: un fondo che io trovo spettacolare. Ghiaccio nero in cristalli duri con piccoli crepacci… sembra un paesaggio lunare.
Finalmente ci liberiamo di imbrago e corda e io posso fare la mia pipì che aspetta da ore. Si scende e si risale per il bel rifugio “Città di Trento” al Mandron che offre una vista notevole sul versante opposto dove siamo saliti e scesi. Raramente capita di avere davanti il percorso fatto e io rimango colpita da dove siamo saliti: ci credo che ho fatto cosi fatica!!
Dopo un breve spuntino riprendiamo l’ultima discesa (eterna!) fino alle auto.
Siamo tutti stanchi: abbiamo camminato circa 25 km e siamo sul sentiero da 12 ore!
Stanchezza si ma anche tanta soddisfazione. E gratitudine verso i miei compagni di viaggio che, mai come quest’anno, ho sentito ‘gruppo’ e che mi hanno sostenuto e aiutato.
In primis verso Silvio (ribattezzato quest’anno “Guido”) che da 10 anni ci accompagna e riesce sempre a portarmi in punta, facendomi fare i percorsi più ripidi e alpinistici, spacciandoli per facili!! Dovete sapere che ha preso il pendio sotto la cima dritto dritto con il buon Pietro dietro di me che borbottava che esistono anche gli zig zag!
Siamo talmente matti che non eravamo neanche partiti dal rifugio che qualcuno ha detto qualcosa del tipo: “Il prossimo anno facciamo il Bernina?” E Silvio: ”Iniziamo a salire l’Adamello va!!” Questi sono i miei amici! Ormai l’esperienza della ‘Montagna con Lia’ vive di vita propria e tutti noi la nutriamo con i nostri sogni e le nostre speranze.
Camminare in cordata, essere legati insieme, fare fatica insieme, condividere soddisfazioni e passaggi difficili, paturnie, lacrime e risate (per una barzelletta di Pietro ho riso mezz’ora!)
Sperimentare e toccare il proprio limite, che ogni volta è diverso e lo puoi trovare nel tuo corpo fisico (nelle gambe che ti fanno male, nella stanchezza che ti assale, nel fiato che ti manca…) ma anche nella tua mente che fa resistenza, che ti instilla il dubbio che tu possa non farcela. Montagna significa per me sempre più, solitudine e silenzio, spazio con me stessa, in cui fai i conti con quello che c’è. E con quello che manca.
Un grazie sentito alle mie ginocchia che, nonostante i miei menischi andati, e con un po’ di aiuto farmacologico, sono riuscite a portarmi a casa. Mentre scendevo ho promesso loro che avrebbero visto solo i portici di Saluzzo per le due settimane successive!
Un grazie alla cordata che ti insegna l’umiltà del ‘passo dopo passo’, con l’attenzione rivolta a chi ti precede e a chi ti segue.
Grazie a chi si prende la responsabilità di portarti in vetta e fa bene il suo lavoro, con grazia e sensibilità. Monsieur La Guide Chapeau!!
Grazie a chi ci ha sostenuto a distanza ed era spiritualmente con noi a camminare, passo dopo passo.
Grazie a chi ha condiviso con me questa avventura:
• a Ombretta fedele compagna in tutti questi anni che ha tremato per me su quel nevaio quando sono scivolata
• a Marcello che mi ha sostenuto nella salita alzandomi lo zaino per alleviare la mia fatica
• a Mauro che mi è stato vicino quando ho iniziato a sbadigliare per evitare che cadessi di sotto
• a Davide silenzioso e garbato che non si è mai lamentato del passo troppo lento per il suo standard
• a Pietro per le sue barzellette, la sua simpatia e anche per i suoi silenzi che quest’anno ho apprezzato davvero tanto
A Lia vada il mio cuore colmo di amore oltre ogni tempo e ogni spazio…