Carissimi voi, che non siete più qui in carne ed ossa, vi scrivo brevemente dalle rocce granitiche della Cima dell’Adamello.
Scrivere ai morti potrebbe sembrare triste, ma in questo caso non lo è: come ogni anno, con questo viaggio sulle cime, abbiamo celebrato la vita, e lo abbiamo fatto, ancora una volta, insieme.
La giornata è magnifica, la salita lunga, la discesa sarà infinita. Oggi, ogni passo vale cento, più che qualsiasi altra volta di questo ostinato, eterogeneo gruppo.
La traversata del Pian di Neve è una immensa, faticosa traversata.
Non ridete....!!! voi siete leggeri, vi spostate ormai senza lasciare impronte, la nostra fatica, il nostro fiatone di vivere non vi appartiene più.
Tutto è iniziato dalla tua morte, cara Lia.
Forse, all’inizio, abbiamo pensato di avvicinarci a te quando toccavamo il cielo così in alto, poi ci è stato chiarissimo di averti Con noi, a fianco.
Ci sei quando scegliamo la meta, le date, ci sei quando organizziamo, guardiamo ansiosi le previsioni, viaggiamo in auto. Ci sei quando ordiniamo la pasta o il minestrone, proviamo i ramponi, facciamo l’elenco delle cose dimenticate, quando non dormiamo, quando non ce la facciamo e poi, guarda, ce la facciamo!!!!
Ormai da qualche anno, le salite in montagna Con Lia sono, per me, viaggi con tanti altri di voi.
Con te, amato Francesco..... con Joan e Marco, figli sfortunati.... con Lele, compagno di salite..... con Vannalisa, amica testarda.... con Gino, semplicemente mio padre...
Viaggi che sono un esercizio di memoria, per fissare nella testa che ci siete stati, per guardare insieme ancora e ancora questa meraviglia che ci circonda, per ringraziare per tanta bellezza.
Questo Adamello, però, è stato particolare.
Ho iniziato l’infinita traversata del Pian di Neve e, come sempre mi capita sul ghiacciaio, ho sentito che avrei potuto benissimo essere nel deserto, come mi è capitato, in Africa . Che gli spazi erano ugualmente infiniti, e che ugualmente ci si poteva perdere.
Non ho potuto fare a meno di vedervi, anime in pena che avete attraversato il deserto per cercare una nativa alla miseria, alla guerra, alla violenza, all’ignoranza. Una processione senza fine di uomini e donne e bambini.
E, ancora, il Rifugio che ricorda voi, Caduti di Adamello, soldati morti da queste parti durante la prima guerra mondiale. Le guerre sono sempre crimini, non si può accettare una strage di questa misura. Eravate tutti giovanissimi, ragazzi poco più grandi di Lia. Come lo avete portato un cannone sulla cima della montagna?? ma soprattutto, perché?????
In prossimità del Rifugio, quest’anno, ci siamo imbattuti in una Messa, la abbiamo attraversata velocemente, io un po’ distrattamente.
Il prete era in bilico sui massi (non così inquietante come era stato vedere don Marco, la prima volta, in punta a Viso...) , ma il contesto era fatto da un bel po’ di filo spinato arrugginito. Davide mi ha riportato all’emozione che ha provato trovandocisi in mezzo, e solo ora, dopo molti giorni dalla salita, ne comprendo il senso.
Comprendo anche il senso dell’insistenza di Marcello a capire che cosa avevo sul cuore, oltre alle obiettiva stanchezza fisica.
Spesso, grandi tragedie hanno come teatro luoghi meravigliosi: luoghi naturali spettacolari, ma anche famiglie stupende, comunità ricche di amore e di arte, culture millenarie e patrimoni umani incommensurabili.
La bellezza, così, preservi la memoria e ci renda più umani.
Alla fine, questa lettera è un altro viaggio. Lo confesso, mi resta una grande tristezza.
Ma sono testarda, e mi ostino a resistere. Non salirò né scenderò mai con la morte nel cuore